venerdì 13 dicembre 2013

LETTERA AD UN ROMANO-CATTOLICO DI GREGORIO COGNETTI


            Anche se non me lo hai mai chiesto direttamente, io sento dalle tue parole che ancora non comprendi perché ho lasciato la chiesa Romana per diventare Ortodosso. "Eri addirittura membro di una delle parrocchie bizantine meno latinizzate", sembra che tu mi dica, "perché, allora?...". Credo di doverti una spiegazione, perché, molto tempo fa, quando entrambi appartenevamo alla chiesa Latina, condividevamo gli stessi sentimenti. Furono proprio questi sentimenti a condurre entrambi in una parrocchia di rito bizantino, e me, in seguito, all'Ortodossia. Non puoi aver dimenticato le critiche che noi muovevamo ai Romani: la continua sostituzione di nuove "tradizioni" al posto di quelle antiche, la Scolastica, l'approccio legalistico alla vita spirituale, il dogma dell’infallibilità papale. Allo stesso tempo entrambi riconoscevamo la legittimità e la correttezza della Chiesa Ortodossa. Una parrocchia uniata sembrava la soluzione ottimale. Mi ricordo cosa dicevo in quel periodo: "Penso come un Ortodosso, credo come un Ortodosso, allora sono Ortodosso". Entrare ufficialmente nella Chiesa Ortodossa mi sembrava solo un'inutile formalità. Addirittura pensavo che restare in comunione con la chiesa Romana fosse un fatto positivo, in vista dell’obiettivo di una possibile riunificazione delle Chiese. 
  

            Bene, B., avevo torto. lo credevo di conoscere la Fede Ortodossa, ma era solo un'infarinatura, e molto superficiale per giunta. Altrimenti non mi sarebbe potuta sfuggire l’intrinseca contraddizione tra il sentirsi Ortodosso e il non essere riconosciuto tale proprio dalla Chiesa la cui fede dichiaravo di condividere. Solo un non-Ortodosso può concepire un'assurdità come essere Ortodosso fuori dall'Ortodossia. La salvezza individuale non riguarda solo la singola persona, come molti Occidentali credono, ma deve essere vista nel quadro più generale della Comunione dell'intera Chiesa. Ogni Cristiano Ortodosso è come una foglia di vite. Come può ricevere la linfa vitale se non è attaccata al tralcio (Gv 15:5)? L'Ortodossia è un'impostazione di vita, non un rito. La bellezza del rito deriva dalla realtà interna della Fede Ortodossa, e non da una ricerca di forme. La Divina Liturgia non è una maniera più pittoresca di dir messa: nasce, riaffermandola, da una realtà teologica che diventa vacua e inconsistente se enucleata dall'Ortodossia. Quando c'è lo spirito della Fede Ortodossa, la funzione più misera, in una stanzaccia, con due icone di carta appoggiate su due sedie per iconostasi, e un pugno di stonati a far da coro, è incomparabilmente superiore alle funzioni nella mia ex parrocchia uniate, in mezzo ai magnifici mosaici bizantini del XII secolo, e un coro ben istruito (quando c'era). L'osservanza quasi paranoica delle forme del rito è il vano tentativo di compensare la mancanza di un vero ethos Ortodosso. Io mi illudevo credendo di poter essere un Ortodosso nella comunione Romana. Mi illudevo perchè è impossibile. La continua interferenza di Roma nella vita ecclesiastica ti ricorda al momento opportuno chi è che comanda. Pretendere di ignorarlo è volersi ingannare da sé. Cercavo di evitare il problema, facendo finta di essere cieco e sordo, e ripetendomi che io appartenevo all’ideale "Chiesa Indivisa". La mia posizione era molto peccaminosa. Anzitutto perché la Chiesa Indivisa esiste ancora: è la Chiesa che non ha mai rotto col suo passato, e che è sempre identica a se stessa: in altri termini la Chiesa Ortodossa. In secondo luogo perchè quel sentimento di essere membro della "Chiesa Indivisa", che io consideravo così cristiano e così irenico era invece un grave peccato di superbia. In pratica io mi ponevo al di sopra di patriarchi e papi. Credevo di essere uno dei pochi che veramente capivano la "Verità", al di là di "vecchie e sterili polemiche". Mi sentivo in diritto di chiedere l'Eucaristia tanto ai Romani quanto agli Ortodossi, e mi sentivo ingiustamente bistrattato quando questi ultimi me la negavano. Ho un gran debito di riconoscenza verso un Sacerdote che, in quel periodo, rifiutò di darmi la Comunione. Anziché parlare dolcemente di "impedimenti canonici", come se la faccenda fosse un problema meramente burocratico, mi disse a muso duro: "Se è vero che ti consideri Ortodosso, perchè continui ad appartenere all'eresia?". Io rimasi profondamente scioccato da queste parole, e per molto tempo non ritornai più in quella chiesa. Ma aveva ragione lui. Che enorme peccato di superbia era il mio! Io avevo "capito" quello che per secoli Santi, Padri, Vescovi, Sacerdoti non avevano capito. Secondo me lo scisma tra Oriente ed Occidente era un tragico "malinteso" basato solo su motivi politici e sulle elucubrazioni dei teologi. E così accusavo indirettamente tante Sante persone di ristrettezza mentale, di calcolo, di superficialità e di bigottismo. E scambiavo tutto ciò per carità cristiana... 
  

            No, B. E' impossibile essere cattolici Romani e Ortodossi allo stesso tempo. Il rito non è poi così importante. In fin dei conti i Latini sono stati Ortodossi di rito occidentale per diversi secoli. Sono d'accordo con te che, nonostante la separazione, Romani e Ortodossi hanno ancora molto in comune, ma ciò non basta per considerarli oggi parte della stessa Chiesa. Al di là delle ben note differenze dottrinali c'è proprio l'approccio al Soprannaturale, la vita stessa nella Chiesa che rende impossibile vivere le due realtà religiose allo stesso tempo. Nel Credo noi dichiariamo: "e (credo) nell'Unica, Santa, Cattolica e Apostolica Chiesa". Finché non ci sarà unità di fede esse saranno due chiese. La teoria (affermata anche da Giovanni Paolo II) che Romani e Ortodossi sono ancora la stessa unicaChiesa (nonostante lo scisma, e in un modo misterioso) suona bene, ma non regge. Si basa solo su belle parole. Le differenze di fede, invece, esistono, e non sono una semplice questione di parole. Sì, lo so, che "il dialogo teologico" è stato avviato, ed è addirittura possibile (tutto è possibile al Signore) che alla fine si raggiunga l'unità. Ma attenzione! Molti buoni Romani credono che le differenze potranno essere risolte mediante una geniale formula che, per la sua genericità, risulti accettabile alle due parti. Raggiunto poi l'accordo su questa formula ognuno la interpreterebbe secondo il proprio intendimento, mantenendo di fatto le proprie opinioni. Ancora peggio, alcuni propongono che l'unità venga fatta nella diversità, senza un impegno formale di fede da alcuna parte, ma sotto l'universale coordinamento del papa di Roma. Ebbene, tutto ciò è impossibile. I Padri ci hanno insegnato che l'accordo sulla fede comune dev'essere univoco e inequivocabile. L'Ortodossia segue lo spirito della Legge, piuttosto che la lettera. E poichè è impensabile che la Chiesa Ortodossa introduca nuove dottrine, spetta ai Romani abbandonare un millennio di innovazioni e ritornare senza riserve alla fede della Chiesa Cattolica ed Apostolica. Questa è l'unica piattaforma possibile per un accordo. La storia ha già dimostrato la fallacia di unioni basate altrimenti. E ora lascia che ti ponga una domanda banale: B., il papa è infallibile ("di per se stesso e non per il consenso della Chiesa", come specifica il dogma del 1870), o no? Non può essere contemporaneamente fallibile e infallibile, come accadrebbe se le due chiese fossero ancora parte della stessa Chiesa. Una delle due deve sbagliare. "Ma il Vaticano Il ha permesso ora una gran libertà di opinioni...", potresti rispondermi. Questo è un sofisma. La vera Chiesa non può cadere in errore. Se tu credi che la tua chiesa abbia sbagliato, o che in atto sbagli, neghi che sia la vera Chiesa.
 Ti abbraccio con immutata amicizia e amore in Cristo.
Gregorio. 



domenica 1 dicembre 2013

La Chiesa Greca nel Meridione dopo il Concilio di Trento


Una delle preoccupazioni principali di alcuni vescovi della provincia era l’assimilazione o la latinizzazione della comunità a rito greco, che nella loro opinione era legata all’eliminazione dell’eterodossia. Anche se i vescovi tendevano a sminuire l’ortodossia orientale nelle loro diocesi riferendosi a essa con il termine di “rito greco”, esisteva in realtà una struttura ecclesiastica organizzata, un retaggio del periodo bizantino, ancora in sporadico contatto con Costantinopoli. [65]
Un clero greco era presente in trentasette diocesi del regno, otto delle quali si trovavano in Terra d’Otranto:Alessano, Altamura (che faceva parte della provincia sino al 1663), Brindisi, Lecce, Nardò, Otranto, Taranto e Ugento. La caduta di Otranto nel 1480 e la distruzione dei centri monastici da parte dei turchi non cancellarono la civiltà greca nella regione. La visita pastorale all’arcidiocesi di Otranto del 1607 da parte dell’arcivescovo de Morra faceva riferimento alla presenza di clero greco in tredici comunità, inclusi trentadue chierici a Soleto e dodici a Calimera, per un totale di novantanove ecclesiastici. [66]
Al loro numero elevato, percepito come un’ulteriore ostacolo ai tentativi dei vescovi di controllare e riformare, si univa la loro relativa povertà, la mancanza d’istruzione e il generale stato di abbandono. L’arcivescovo de Corderos di Otranto, scrivendo al cardinale Santoro nel 1580, espresse l’opinione che tutto il clero greco fosse in un continuo stato di peccato, perché non aveva i libri adatti e non sapeva recitare l’ufficio. Concluse dicendo che “gli abusi e le insolenze dei Greci di questa provincia e non meno la loro grande ignoranza sono tanti e tali e così continuati, che solo qualche spirito angelico lo potria soffrire”.[67] L’arcivescovo Brancaccio di Taranto fu ancora più duro nei riguardi delle comunità albanesi nella sua diocesi, e cercò di imporre il rito latino col pretesto di correggere alcuni abusi ecclesiastici”.[68] In occasione delle sue visite pastorali alle comunità albanesi nel 1577-8, proibì l’usanza del rito greco di somministrare la comunione ai neonati, vietò che i mariti si risposassero se loro mogli venivano sorprese in flagrante adultero e affermò che nessun prete poteva essere ordinato da un vescovo di rito greco senza la previa approvazione dell’arcivescovo o del suo vicario. Inoltre, insistette che fosse adottata la versione latina della cresima e proibì al clero latino e quello greco di celebrare le messe l’uno nelle chiese dell’altro. ”[69]
Nonostante la tolleranza ufficiale del rito greco e la nomina da parte di papa Clemente VII nel 1595 di un vescovo ordinante per i greci dell’Italia (anche se direttamente soggetto all’autorità papale) in Terra d’Otranto si mirava ad abolire le usanze greche sopravissute in aree a predominanza italiana e a sopprimere gradualmente il rito greco in località miste, sostituendolo con quello latino. Per questa ragione, il clero greco di S. Pietro in Galatina (arcidiocesi di Otranto) dovette presentare una petizione all’arcivescovo de Capua nel 1570 per ottenere il permesso di nominare un nuovo cantore, in seguito alla morte del precedente. A Lecce, che aveva la sua parrocchia greca, un prete greco venne accusato di aver battezzato un bimbo di genitori “latini” secondo il rito greco, ma fu perdonato perché aveva agito in una situazione di emergenza. ”[70] Spesso le vicine popolazioni di rito latino contrastavano duramente la presenza del rito greco – aizzate da chi ? –, trasformando la disputa in un conflitto confessionale. A Soleto nel 1583 la comunità latina scrisse una petizione contro l’arcipresbitero e il clero greco perché si convertissero immediatamente al rito latino. Il paese di Calimera ebbe la fortuna di poter mantenere il suo rito greco più a lungo di molti altri, fino al 1663, quando, cioè, il suo protopapa fu assassinato e l’archivio parrocchiale distrutto completamente da un incendio. [71]

[65] V. PERI, Chiesa latina e chiesa greca nell’Italia postridentina (1564-1596), in “Italia sacra”, no. 20, Padova 1973, La Chiesa greca in Italia dal’VIII al XVI secolo, I, pp. 281-2;
[66] TSIRPAULIS, Memorie, cit., pp. 853-7;
[67] Cit. in PERI, Chiesa greca, cit., p. 314;
[68] V. FARELLA, I decreti sinodali dell’arcivescovo Lelio Brancaccio relativi ai greco-albanesi del tarantino, in M. PAONE (a cura di), Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, II, Galatina 1973, p. 665;
[69] Archivio Diocesano di Taranto, Sante Visite, “Visitatio casalium Tarantinae diocesis archiepiscopi Brancacii de anno 1577”, f.475, cit. in ibid., p.673.
[70] Era notte e il bimbo stava morendo, correndo il pericolo di finire nel limbo. ACAL, Giud. crim., “Contra Rvdo Gabriele De Orazio”, 1688, no. 758.
[71] TSIRPAULIS, Memorie, cit., pp. 856, 862. Nel paese di Galatone (diocesi di Nardò) l’eliminazione delle ultime tracce della gerarchia di rito greco all’interno del capitolo fu segnata, materialmente e simbolicamente, dalla edificazione della chiesa del Crocifisso, negli anni 1622-5. M. CAZZATO, Architettura e religiosità popolare: osservazioni e documenti in margine alla ricostruzione della chiesa del Crocifisso di Galatone, in “Sallentum”, VIII (1985), pp.33-5
Estratto