martedì 4 febbraio 2014

DALL'INTERROGATORIO DI SAN MASSIMO IL CONFESSORE

  Dichiara il santo:

Nostro Signore Gesù Cristo chiama Chiesa Cattolica, la Chiesa che conserva il vero legame con il deposito della Fede. Per questa confessione ha chiamato beato Pietro e su questa confessione ha detto che costruirà la sua Chiesa. Tuttavia, vorrei conoscere il contenuto della vostra confessione in cui tutte le Chiese, come dite voi, sono in comunione con voi. Se non si oppone alla verità, allora neanche io mi separerò da essa. 

La salvezza piena dipende non solo dalla fede del cuore, ma anche dalla confessione, come ha detto il Signore: Chi confesserà di me di fronte agli uomini, io confesserò su di lui di fronte a mio Padre celeste. Inoltre, l'Apostolo Paolo insegna: Con il cuore l'uomo crede e ciò porta alla giustificazione, ma con bocca confessa per la salvezza. Quindi, se Dio, i profeti divini e gli apostoli designano come il mistero della fede si confessa con la parola e in  questo modo il  mistero porta alla salvezza il mondo intero, allora la gente non dovrebbe essere costretta a rimanere in silenzio, per quanto riguarda la confessione ( della fede), per non essere impedita la loro salvezza.

Quando tutte le persone in Babilonia adoravano gli idoli d'oro, i tre Santi fanciulli non sono caduti in errore. Non sono stati attirati dagli altri, ma si presero cura di non allontanarsi dalla vera fede. Esattamente, allo stesso modo, quando Daniele fu gettato nella fossa dei leoni non condannò coloro che rispettavano la legge di Dario e si rifiutavano di pregare a Dio. Ha preferito morire che peccare contro la sua coscienza, trasgredendo la legge di Dio. 

Anche se tutto il mondo entrasse in comunione con il Patriarca, io non sarò in comunione con lui. So dalle lettere di san Paolo l'Apostolo che: Il Santo Spirito dichiara che anche per gli angeli sarebbe anatema, se cominciassero a predicare un altro vangelo e ad introdurre un insegnamento diverso.


venerdì 13 dicembre 2013

LETTERA AD UN ROMANO-CATTOLICO DI GREGORIO COGNETTI


            Anche se non me lo hai mai chiesto direttamente, io sento dalle tue parole che ancora non comprendi perché ho lasciato la chiesa Romana per diventare Ortodosso. "Eri addirittura membro di una delle parrocchie bizantine meno latinizzate", sembra che tu mi dica, "perché, allora?...". Credo di doverti una spiegazione, perché, molto tempo fa, quando entrambi appartenevamo alla chiesa Latina, condividevamo gli stessi sentimenti. Furono proprio questi sentimenti a condurre entrambi in una parrocchia di rito bizantino, e me, in seguito, all'Ortodossia. Non puoi aver dimenticato le critiche che noi muovevamo ai Romani: la continua sostituzione di nuove "tradizioni" al posto di quelle antiche, la Scolastica, l'approccio legalistico alla vita spirituale, il dogma dell’infallibilità papale. Allo stesso tempo entrambi riconoscevamo la legittimità e la correttezza della Chiesa Ortodossa. Una parrocchia uniata sembrava la soluzione ottimale. Mi ricordo cosa dicevo in quel periodo: "Penso come un Ortodosso, credo come un Ortodosso, allora sono Ortodosso". Entrare ufficialmente nella Chiesa Ortodossa mi sembrava solo un'inutile formalità. Addirittura pensavo che restare in comunione con la chiesa Romana fosse un fatto positivo, in vista dell’obiettivo di una possibile riunificazione delle Chiese. 
  

            Bene, B., avevo torto. lo credevo di conoscere la Fede Ortodossa, ma era solo un'infarinatura, e molto superficiale per giunta. Altrimenti non mi sarebbe potuta sfuggire l’intrinseca contraddizione tra il sentirsi Ortodosso e il non essere riconosciuto tale proprio dalla Chiesa la cui fede dichiaravo di condividere. Solo un non-Ortodosso può concepire un'assurdità come essere Ortodosso fuori dall'Ortodossia. La salvezza individuale non riguarda solo la singola persona, come molti Occidentali credono, ma deve essere vista nel quadro più generale della Comunione dell'intera Chiesa. Ogni Cristiano Ortodosso è come una foglia di vite. Come può ricevere la linfa vitale se non è attaccata al tralcio (Gv 15:5)? L'Ortodossia è un'impostazione di vita, non un rito. La bellezza del rito deriva dalla realtà interna della Fede Ortodossa, e non da una ricerca di forme. La Divina Liturgia non è una maniera più pittoresca di dir messa: nasce, riaffermandola, da una realtà teologica che diventa vacua e inconsistente se enucleata dall'Ortodossia. Quando c'è lo spirito della Fede Ortodossa, la funzione più misera, in una stanzaccia, con due icone di carta appoggiate su due sedie per iconostasi, e un pugno di stonati a far da coro, è incomparabilmente superiore alle funzioni nella mia ex parrocchia uniate, in mezzo ai magnifici mosaici bizantini del XII secolo, e un coro ben istruito (quando c'era). L'osservanza quasi paranoica delle forme del rito è il vano tentativo di compensare la mancanza di un vero ethos Ortodosso. Io mi illudevo credendo di poter essere un Ortodosso nella comunione Romana. Mi illudevo perchè è impossibile. La continua interferenza di Roma nella vita ecclesiastica ti ricorda al momento opportuno chi è che comanda. Pretendere di ignorarlo è volersi ingannare da sé. Cercavo di evitare il problema, facendo finta di essere cieco e sordo, e ripetendomi che io appartenevo all’ideale "Chiesa Indivisa". La mia posizione era molto peccaminosa. Anzitutto perché la Chiesa Indivisa esiste ancora: è la Chiesa che non ha mai rotto col suo passato, e che è sempre identica a se stessa: in altri termini la Chiesa Ortodossa. In secondo luogo perchè quel sentimento di essere membro della "Chiesa Indivisa", che io consideravo così cristiano e così irenico era invece un grave peccato di superbia. In pratica io mi ponevo al di sopra di patriarchi e papi. Credevo di essere uno dei pochi che veramente capivano la "Verità", al di là di "vecchie e sterili polemiche". Mi sentivo in diritto di chiedere l'Eucaristia tanto ai Romani quanto agli Ortodossi, e mi sentivo ingiustamente bistrattato quando questi ultimi me la negavano. Ho un gran debito di riconoscenza verso un Sacerdote che, in quel periodo, rifiutò di darmi la Comunione. Anziché parlare dolcemente di "impedimenti canonici", come se la faccenda fosse un problema meramente burocratico, mi disse a muso duro: "Se è vero che ti consideri Ortodosso, perchè continui ad appartenere all'eresia?". Io rimasi profondamente scioccato da queste parole, e per molto tempo non ritornai più in quella chiesa. Ma aveva ragione lui. Che enorme peccato di superbia era il mio! Io avevo "capito" quello che per secoli Santi, Padri, Vescovi, Sacerdoti non avevano capito. Secondo me lo scisma tra Oriente ed Occidente era un tragico "malinteso" basato solo su motivi politici e sulle elucubrazioni dei teologi. E così accusavo indirettamente tante Sante persone di ristrettezza mentale, di calcolo, di superficialità e di bigottismo. E scambiavo tutto ciò per carità cristiana... 
  

            No, B. E' impossibile essere cattolici Romani e Ortodossi allo stesso tempo. Il rito non è poi così importante. In fin dei conti i Latini sono stati Ortodossi di rito occidentale per diversi secoli. Sono d'accordo con te che, nonostante la separazione, Romani e Ortodossi hanno ancora molto in comune, ma ciò non basta per considerarli oggi parte della stessa Chiesa. Al di là delle ben note differenze dottrinali c'è proprio l'approccio al Soprannaturale, la vita stessa nella Chiesa che rende impossibile vivere le due realtà religiose allo stesso tempo. Nel Credo noi dichiariamo: "e (credo) nell'Unica, Santa, Cattolica e Apostolica Chiesa". Finché non ci sarà unità di fede esse saranno due chiese. La teoria (affermata anche da Giovanni Paolo II) che Romani e Ortodossi sono ancora la stessa unicaChiesa (nonostante lo scisma, e in un modo misterioso) suona bene, ma non regge. Si basa solo su belle parole. Le differenze di fede, invece, esistono, e non sono una semplice questione di parole. Sì, lo so, che "il dialogo teologico" è stato avviato, ed è addirittura possibile (tutto è possibile al Signore) che alla fine si raggiunga l'unità. Ma attenzione! Molti buoni Romani credono che le differenze potranno essere risolte mediante una geniale formula che, per la sua genericità, risulti accettabile alle due parti. Raggiunto poi l'accordo su questa formula ognuno la interpreterebbe secondo il proprio intendimento, mantenendo di fatto le proprie opinioni. Ancora peggio, alcuni propongono che l'unità venga fatta nella diversità, senza un impegno formale di fede da alcuna parte, ma sotto l'universale coordinamento del papa di Roma. Ebbene, tutto ciò è impossibile. I Padri ci hanno insegnato che l'accordo sulla fede comune dev'essere univoco e inequivocabile. L'Ortodossia segue lo spirito della Legge, piuttosto che la lettera. E poichè è impensabile che la Chiesa Ortodossa introduca nuove dottrine, spetta ai Romani abbandonare un millennio di innovazioni e ritornare senza riserve alla fede della Chiesa Cattolica ed Apostolica. Questa è l'unica piattaforma possibile per un accordo. La storia ha già dimostrato la fallacia di unioni basate altrimenti. E ora lascia che ti ponga una domanda banale: B., il papa è infallibile ("di per se stesso e non per il consenso della Chiesa", come specifica il dogma del 1870), o no? Non può essere contemporaneamente fallibile e infallibile, come accadrebbe se le due chiese fossero ancora parte della stessa Chiesa. Una delle due deve sbagliare. "Ma il Vaticano Il ha permesso ora una gran libertà di opinioni...", potresti rispondermi. Questo è un sofisma. La vera Chiesa non può cadere in errore. Se tu credi che la tua chiesa abbia sbagliato, o che in atto sbagli, neghi che sia la vera Chiesa.
 Ti abbraccio con immutata amicizia e amore in Cristo.
Gregorio. 



domenica 1 dicembre 2013

La Chiesa Greca nel Meridione dopo il Concilio di Trento


Una delle preoccupazioni principali di alcuni vescovi della provincia era l’assimilazione o la latinizzazione della comunità a rito greco, che nella loro opinione era legata all’eliminazione dell’eterodossia. Anche se i vescovi tendevano a sminuire l’ortodossia orientale nelle loro diocesi riferendosi a essa con il termine di “rito greco”, esisteva in realtà una struttura ecclesiastica organizzata, un retaggio del periodo bizantino, ancora in sporadico contatto con Costantinopoli. [65]
Un clero greco era presente in trentasette diocesi del regno, otto delle quali si trovavano in Terra d’Otranto:Alessano, Altamura (che faceva parte della provincia sino al 1663), Brindisi, Lecce, Nardò, Otranto, Taranto e Ugento. La caduta di Otranto nel 1480 e la distruzione dei centri monastici da parte dei turchi non cancellarono la civiltà greca nella regione. La visita pastorale all’arcidiocesi di Otranto del 1607 da parte dell’arcivescovo de Morra faceva riferimento alla presenza di clero greco in tredici comunità, inclusi trentadue chierici a Soleto e dodici a Calimera, per un totale di novantanove ecclesiastici. [66]
Al loro numero elevato, percepito come un’ulteriore ostacolo ai tentativi dei vescovi di controllare e riformare, si univa la loro relativa povertà, la mancanza d’istruzione e il generale stato di abbandono. L’arcivescovo de Corderos di Otranto, scrivendo al cardinale Santoro nel 1580, espresse l’opinione che tutto il clero greco fosse in un continuo stato di peccato, perché non aveva i libri adatti e non sapeva recitare l’ufficio. Concluse dicendo che “gli abusi e le insolenze dei Greci di questa provincia e non meno la loro grande ignoranza sono tanti e tali e così continuati, che solo qualche spirito angelico lo potria soffrire”.[67] L’arcivescovo Brancaccio di Taranto fu ancora più duro nei riguardi delle comunità albanesi nella sua diocesi, e cercò di imporre il rito latino col pretesto di correggere alcuni abusi ecclesiastici”.[68] In occasione delle sue visite pastorali alle comunità albanesi nel 1577-8, proibì l’usanza del rito greco di somministrare la comunione ai neonati, vietò che i mariti si risposassero se loro mogli venivano sorprese in flagrante adultero e affermò che nessun prete poteva essere ordinato da un vescovo di rito greco senza la previa approvazione dell’arcivescovo o del suo vicario. Inoltre, insistette che fosse adottata la versione latina della cresima e proibì al clero latino e quello greco di celebrare le messe l’uno nelle chiese dell’altro. ”[69]
Nonostante la tolleranza ufficiale del rito greco e la nomina da parte di papa Clemente VII nel 1595 di un vescovo ordinante per i greci dell’Italia (anche se direttamente soggetto all’autorità papale) in Terra d’Otranto si mirava ad abolire le usanze greche sopravissute in aree a predominanza italiana e a sopprimere gradualmente il rito greco in località miste, sostituendolo con quello latino. Per questa ragione, il clero greco di S. Pietro in Galatina (arcidiocesi di Otranto) dovette presentare una petizione all’arcivescovo de Capua nel 1570 per ottenere il permesso di nominare un nuovo cantore, in seguito alla morte del precedente. A Lecce, che aveva la sua parrocchia greca, un prete greco venne accusato di aver battezzato un bimbo di genitori “latini” secondo il rito greco, ma fu perdonato perché aveva agito in una situazione di emergenza. ”[70] Spesso le vicine popolazioni di rito latino contrastavano duramente la presenza del rito greco – aizzate da chi ? –, trasformando la disputa in un conflitto confessionale. A Soleto nel 1583 la comunità latina scrisse una petizione contro l’arcipresbitero e il clero greco perché si convertissero immediatamente al rito latino. Il paese di Calimera ebbe la fortuna di poter mantenere il suo rito greco più a lungo di molti altri, fino al 1663, quando, cioè, il suo protopapa fu assassinato e l’archivio parrocchiale distrutto completamente da un incendio. [71]

[65] V. PERI, Chiesa latina e chiesa greca nell’Italia postridentina (1564-1596), in “Italia sacra”, no. 20, Padova 1973, La Chiesa greca in Italia dal’VIII al XVI secolo, I, pp. 281-2;
[66] TSIRPAULIS, Memorie, cit., pp. 853-7;
[67] Cit. in PERI, Chiesa greca, cit., p. 314;
[68] V. FARELLA, I decreti sinodali dell’arcivescovo Lelio Brancaccio relativi ai greco-albanesi del tarantino, in M. PAONE (a cura di), Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, II, Galatina 1973, p. 665;
[69] Archivio Diocesano di Taranto, Sante Visite, “Visitatio casalium Tarantinae diocesis archiepiscopi Brancacii de anno 1577”, f.475, cit. in ibid., p.673.
[70] Era notte e il bimbo stava morendo, correndo il pericolo di finire nel limbo. ACAL, Giud. crim., “Contra Rvdo Gabriele De Orazio”, 1688, no. 758.
[71] TSIRPAULIS, Memorie, cit., pp. 856, 862. Nel paese di Galatone (diocesi di Nardò) l’eliminazione delle ultime tracce della gerarchia di rito greco all’interno del capitolo fu segnata, materialmente e simbolicamente, dalla edificazione della chiesa del Crocifisso, negli anni 1622-5. M. CAZZATO, Architettura e religiosità popolare: osservazioni e documenti in margine alla ricostruzione della chiesa del Crocifisso di Galatone, in “Sallentum”, VIII (1985), pp.33-5
Estratto 


sabato 16 novembre 2013

Divina Eucarestia


Quando Cristo ha parlato per la prima volta agli uomini del mi­stero della Divina Eucaristia, ha chiamato se stesso pane della vita, pane disceso dal cielo per offrirsi per la vita del mondo: « Io sono il pane della vita. I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo è il pane che discende dal cielo, affinché uno ne mangi e non muoia. Io sono il pane vivente che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; or il pane che darò è la mia carne, che darò per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro, dicendo: «Come può costui darci da mangiare la sua carne?». Perciò Gesù disse loro: «In verità, in verità vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha vita eterna, e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Poiché la mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in lui. Come il Padre vivente mi ha mandato ed io vivo a motivo del Padre, così chi si ciba di me vivrà anch'egli a motivo di me. Questo è il pane che è disceso dal cielo; non è come la manna che mangiarono i vostri padri e morirono; chi si ciba di questo pane vivrà in eterno » (Gv 6,48-51).


SUL PRIMATO il pensiero di Gregorio Magno


padre Gregorio Cognetti
  
Tutti sanno che una delle divergenze principali tra Ortodossi e Romano-Cattolici è costituita dal ruolo del Vescovo di Roma nella Chiesa Universale. Per i Romani, il Papa è il capo della Chiesa Universale. Secondo la dottrina Ortodossa, invece il Papa di Roma è soltanto un vescovo, uguale in dignità agli altri vescovi. A questo punto è interessante leggere un’opinione qualificata: quella di san Gregorio Magno, Papa di Roma (+ 604), la cui festa si celebra nella Chiesa Ortodossa il 12 Marzo.

Contemporaneo di san Gregorio, era Patriarca (1) di Costantinopoli san Giovanni il Digiunatore (festa il 2 Settembre), san Giovanni era un asceta dalla vita molto pia. Pregava gran parte della notte, e, per non essere vinto dal sonno, era solito inserire dei grossi chiodi nella cera della sua candela: il baccano del chiodo che cadeva in un piatto di metallo posto sotto la candela lo risvegliava se, per caso, aveva ceduto al sonno. san Giovanni, come dimostrato da tutta la sua vita, non era certo persona da tenere ad onori terreni, tuttavia, nell’anno 587 l’Imperatore Mauirizio gli conferì il titolo ufficiale di “Patriarca Ecumenico”.
Oggi questo titolo è indubbiamente altisonante, ma così non era nel VI secolo. Ecumenico viene dalla parola greca oikoumene, che letteralmente significa “il mondo abitato”. Vuoi per scarse conoscenze geografiche, vuoi per la tipica superbia dei conquistatori, i Romani prima, e i Bizantini poi, identificavano “il mondo abitato” con l’impero Romano. Nel VI secolo, appunto, la parola “ecumenico” era usata correntemente come sinonimo di “imperiale”.
Costantinopoli era la città “ecumenica”. Il bibliotecario capo di Costantinopoli, per esempio, si chiamava “bibliotecario ecumenico”, ma questo stava a significare soltanto che egli era il bibliotecario della città imperiale, e non che avesse la benchè minima autorità su tutti i bibliotecari dell’Impero. “Patriarca Ecumenico” pertanto, nel greco di allora, veniva inteso soltanto come “Patriarca della città imperiale”: nient’altro che una maniera differente di dire “Patriarca di Costantinopoli”. A riprova, l’uso sporadico di questo titolo è attestato già molto tempo prima.
Tutti i guai cominciarono quando il titolo fu tradotto in latino: diventò infatti “Patriarcha universalis”. E papa Gregorio reagì perchè credette che Giovanni si arrogasse il primato nella Chiesa. Naturalmente, come abbiamo visto, questa non era affatto l’intenzione del Patriarca. Alcuni autori di matrice Romano-cattolica affermano che la reazione di Gregorio era intesa a rivendicare il primato a sè stesso. Ma non è vero. I lettori possono controllarlo: le lettere di san Gregorio Magno sono a disposizione di chiunque voglia consultarle (2). Cominciamo proprio dalla lettera che egli inviò al Patriarca Giovanni: “Considera, te ne prego, che, a causa di questa tua sconsiderata presunzione la pace dell’intera Chiesa è turbata e che ciò [cioè il titolo di Patriarca Ecumenico] è in contraddizione con la grazia che è stata data in comune a tutti noi; nella quale grazia senza dubbio tu stesso hai il potere di crescere se avrai la volontà di farlo. E tu diverrai molto più grande se ti asterrai dall’usurpare un titolo superbo e folle: e tu progredirai nella misura in cui non ti farai arrogante a scapito dei tuoi confratelli... Certamente Pietro, il primo degli Apostoli che era egli stesso un membro della Chiesa santa e universale, Paolo, Andrea, Giovanni, che cosa erano essi se non capi di comunità individuali? Ed erano tutti membra sotto lo stesso Capo... tutti costituenti il Corpo del Signore in quanto membra della Chiesa, e nessuno di essi volle essere chiamato universale....ai presuli di questa sede Apostolica, dove io sono servo per volontà divina, fu offerto dal venerabile Concilio di Calcedonia l’onore di essere chiamati universali(3). Eppure nessuno di essi si è mai fatto chiamare con tale titolo, perchè, se qualcuno in virtù del rango pontificale avesse assunto su di sè stesso la gloria della unicità, sarebbe sembrato che la negasse a tutti i suoi confratelli...”
(Libro V; Lettera XVIII)
Non conosciamo la risposta di san Giovanni. Probabilmente non rispose affatto, perchè morì circa un anno dopo la data della lettera di san Gregorio (le comunicazioni a quell’epoca erano molto difficili, ed un anno era un tempo assolutamente ragionevole perchè una lettera arrivasse da Roma a Costantinopoli). Comunque san Gregorio continuò ad esprimere il suo pensiero sull’Episcopato Universale. Difatti egli scrisse congiuntamente ad Eulogio, Papa di Alessandria e ad Atanasio, Patriarca di Antiochia nei seguenti termini: “Questo nome di Universalità fu offerto dal Santo Concilio di Calcedonia (3) al pontefice della Sede Apostolica dove io sono servo per volontà divina. Ma nessuno dei miei predecessori ha mai acconsentito di usare un titolo così profano, infatti, senza dubbio se un Patriarca viene chiamato Universale, viene diminuito il nome di Patriarca per tutti gli altri. Ma lungi da ciò, lungi dalla mente di un Cristiano che qualcuno desideri arraffare per sè stesso ciò che potrebbe sembrare un abbassamento dell’onore dei suoi confratelli...”
(Libro V; Lettera XLIII)
E all’imperatore Maurizio:
“Ora in tutta confidenza dico che chiunque si consideri, o desideri essere considerato, Sacerdote Universale, è nella sua folle esaltazione il precursore dell’Anticristo, perchè egli si pone per orgoglio al disopra di tutti gli altri...”
E nuovamente ad Eulogio, Papa di Alessandria:
“Vostra Santità... voi mi scrivete dicendo ‘Come avete comandato’. Questa parola, ‘comando’, io vi prego di allontanarla dal mio orecchio, perchè voi sapete chi sono io e chi siete voi: perchè, in quanto a posizione, voi siete miei fratelli, quanto a virtù, padri miei...
“...nella prefazione della lettera che mi avete indirizzato, nonostante ve lo avessi proibito, avete ritenuto opportuno fare uso di un titolo superbo, chiamandomi ‘Papa Universale’. Ma io prego la Vostra Soavissima Santità di non farlo più, perchè ciò che voi date ad un altro oltre il ragionevole limite, voi lo sottraete a voi stesso... Perché se Vostra Santità mi chiama Papa Universale, voi negate a voi stesso ciò che voi date a me nel chiamarmi universale...” (Libro VIII; Lettera XXX)
Questa storia ci insegna un’altra lezione. Molte volte, quando assistiamo ad eventi che ci sembrano indegni della gloriosa immagine della Santa Chiesa Ortodossa, spesso ci chiediamo “Ma perchè Dio permette che tali brutte cose accadano nella sua Chiesa?”. Senza dubbio molta gente, all’epoca di questi avvenimenti si rattristò, a causa dell’equivoco che avvelenò i rapporti tra due pii Vescovi, tra due grandi Santi della Chiesa. E sicuramente, allora come adesso, qualcuno si sarà chiesto: “Ma perchè Dio permette che tali brutte cose accadano nella sua Chiesa?”. Oggi la risposta è chiara. Il Santo Spirito ha permesso questo equivoco affinchè venisse ben documentata l’opposizione all’ universalità del primato papale da parte di uno dei più grandi Papi della storia. Senza queste lettere, non avremmo una così drammatica evidenza della inconsistenza della dottrina del primato.
Come tutti ben sanno, la dottrina Romano-cattolica del primato pontificio si basa su due punti:
        1) Una presunta effettiva supremazia di san Pietro sugli altri Apostoli (e quindi non un semplice primato d’onore); e
        2) La trasmissione di questa supremazia ai Vescovi di Roma, in quanto esclusivi successori di san Pietro.
 L’opinìone di san Gregorio Magno sul primo punto l’abbiamo già vista espressa nella lettera a san Giovanni il Digiunatore, quando affermava che Pietro, Paolo, Andrea, Giovanni e gli altri Apostoli erano tutti ugualmente capi delle comunità particolari, e tutti ugualmente membra del Corpo di Cristo, e ugualmente sottoposti a Lui.
Per quanto riguarda invece il secondo punto, san Gregorio riteneva che la successione sul “trono di Pietro” fosse si un onore di cui mostrarsi responsabilmente degni, ma che non conferisse alcun potere particolare:anzi, che addirittura fosse ugualmente condiviso tra il Papa di Roma, il Papa di Alessandria e il Patriarca di Antiochia. Leggiamo infatti cosa egli scrive al già più volte citato Eulogio, Papa di Alessandria: “Vostra soavissima Santità: mi avete parlato molto nella vostra lettera della Cattedra di san Pietro, il primo degli Apostoli, e infatti colui che mi parla della Cattedra di san Pietro, altri non è che colui che occupa la Cattedra di san Pietro... difatti il suo seggio è in tre luoghi. Infatti egli ha esaltato il seggio in cui si è degnato di fermarsi e di finire la sua vita (4) Egli stesso ha adornato il seggio dove mandò il suo discepolo ed evangelista (5) Egli stesso ha stabilito il seggio in cui, prima di lasciarlo, sedette per sette anni (6). Pertanto il seggio è uno, su cui per autorità divina tre vescovi ora presiedono: tutto ciò di buono che sento di voi, io lo assumo per me, e se voi pensate qualche cosa di buono di me, assumetelo a vostro merito, perchè noi siamo una sola cosa in Lui che dice: come Tu, padre, sei in me, e io in Te, così essi siano una sola cosa in noi”. (Libro VII; Lettera XL)
E ad Anastasio, Patriarca di Antiochia: “Poichè noi abbiamo il principe degli Apostoli in comune, così nessuno di noi pensi di essere da solo il discepolo dello stesso principe”. (Libro V; Lettera XXXIX)
E nuovamente a Eulogio, Papa di Alessandria: “Lode e gloria nei cieli a [te] mio santo fratello, attraverso cui la voce di S.Marco continua a risuonare dalla Cattedra di san Pietro!” (Libro X; Lettera XXXV)
E sempre allo stesso Eulogio, in una lettera di presentazione per alcuni pellegrini:
“I latori di questi doni vengono dalla Sicilia, si sono convertiti dall’errore del monofisismo e si sono riuniti alla Chiesa Universale. Poiché desiderano recarsi alla Chiesa del Santo Pietro, primo degli Apostoli, mi hanno chiesto questa lettera di raccomandazione alla Vostra Santità, affinchè possiate assisterli contro gli attacchi degli eretici...”. (Libro XII; Lettera L)
E si potrebbe continuare ancora.
Se san Gregorio Magno, per un miracolo, tornasse in vita oggi, dove troverebbe professata la sua fede, nella Chiesa Cattolica Romana, o in quella Ortodossa?

NOTE 
1. Il titolo di Patriarca a quell’epoca era usato onorificamente per il Vescovo che era a capo di ciascuna delle cinque circoscrizioni ecclesiastiche in cui era diviso l’Impero. Essi erano: il vescovo di Roma, il Vescovo di Costantinopoli, il vescovo di Alessandria, il Vescovo di Antiochia e il vescovo di Gerusalemme. Il vescovo di Roma e quello di Alessandria venivano, e vengono tutt’oggi chiamati in alternativa anche “Papa”. In seguito al ben noto scisma del 1054, il Patriarcato di Roma si trovò a Costituire da solo la Chiesa detta Romano-Cattolica (o, comunemente, “Cattolica”) mentre gli altri quattro Patriarcati continuarono a usare il nome tradizionale di Chiesa Cattolica Ortodossa (o, comunemente, “Ortodossa”). Con la conversione degli Slavi, altri Patriarcati poi si aggiunsero a questi quattro.
2. Non esiste a tutt'oggi  per quanto io ne sappia, un’edizione italiana dell’Epistolario di san Gregorio Magno. La lacuna è alquanto strana, perchè tutte le altre opere dello stesso autore sono state tradotte e sono disponibili in varie edizioni. Bisogna pertanto ricorrere al testo latino. L’edizione di più facile reperimento, in quanto presente in tutte le buone biblioteche pubbliche, è la celeberrima Patrologia Latina del Migne.
3. San Gregorio si sbagliava nel ritenere che il Concilio di Calcedonia avesse dato questo titolo in particolare al Vescovo di Roma. in realtà, nei documenti del Concilio tutti i Patriarchi furono chiamati col titolo di “Arcivescovo Ecumenico” (Marsi VI: 1006, 1012), forse per sottolineare la loro posizione di preminenza in seno all'impero  Questo ulteriore errore in buona fede dà comunque ancora più vigore al ragionamento di san Gregorio.
4. Si tratta, appunto, di Roma.
5. Si tratta di Alessandria, dove san Pietro si fece succedere da san Marco.
6. Si tratta di Antiochia.

lunedì 11 novembre 2013

“NON RIMANETE IN SILENZIO”


di Justin (Parvu) *


“Non voglio rimanere in silenzio vedendo che dei nostri prestigiosi metropoliti, di età avanzata e pieni di esperienza, comunichino con coloro che hanno commesso apostasia. Quest’azione, come voi sapete è una seria infrazione al 46imo canone degli Apostoli che dichiara chiaramente: “Noi ordiniamo che ogni vescovo o prete che ha accettato il battesimo degli eretici o il loro sacrificio sia deposto, poiché cosa c’è in comune tra Cristo e Belial? Che c’è in comune tra il credente e l’infedele?”. A questo si aggiunge il canone 45imo che afferma: “Qualsiasi vescovo, prete o diacono che prega con gli eretici sia sospeso, e se ha loro permesso di compiere delle azioni, in quanto membri del clero, sia deposto”. Ma non c’è solo questo. È ampiamente conosciuto che l’uniatismo non fu solo un attacco contro la purezza della fede ortodossa (…) Guardiamone i frutti! Questo atto conduce unicamente alla divisione e per nulla all’unità basata sulla verità dei Santi Padri.”

* Parte della lettera aperta (del 1° giugno 2008) del mn. ortodosso-rumeno Justin (Parvu) del Sacro Monastero ortodosso-rumeno dei Santi Arcangeli Michele e Gabriele a Petru-Voda ha indirizzato una lettera aperta al Sinodo della Chiesa di Romania e al Patriarca Daniele, richiedendo una sanzione contro il vescovo Nicolas di Banat, autore della ormai conosciuta comunione uniate.    


Comprendere il Mistero



A chi pretende di comprendere la Grazia e il Mistero con la ragione i padri insegnano che per arrivarci bisogna passare ore in preghiera quotidiana spogliandosi del proprio sapere e rinnegano se stesso per accogliere Cristo e il suo divino sapere e sarà sempre un dono di Dio.
Il cristianesimo ortodosso è vita non è filosofia se uno non ha vissuto come farà a comprendere la Fede dai libri come farà a comprendere il Mistero?

mercoledì 3 luglio 2013

Manuale di Sopravvivenza Spirituale per un Cristiano Ortodosso che vive in Italia



L’Italia, come sapete, è un paese ufficialmente a maggioranza cattolico. E’ bene tener presente che la chiesa di Roma per mille anni è stato il patriarcato ortodosso più prestigioso e che solo dall’XI secolo ha iniziato a separarsi dalla comunione con la nostra Chiesa modificando a tappe successive la liturgia, il dogma, la spiritualità e la disciplina ecclesiastica. Fino a dieci secoli fa battezzavano immergendo nella colinvitra come noi, davano la comunione con il vino insieme con il pane vero, non usavano l’ostia come fanno oggi, facevano il segno di croce ortodosso, le loro liturgie assomigliavano molto alle nostre, non avevano statue, ma affreschi e icone e la mensa eucaristica stava dietro l’iconostasi e i loro sacerdoti, erano coniugati come i nostri.Come molti di noi possono testimoniare, i cattolici sono spesso ottime persone, accoglienti ed ospitali; alcuni nei nostri confronti mostrano un affetto speciale e non di rado veniamo invitati a partecipare alle loro messe, con l’assicurazione che sarebbe la stessa cosa. Questo accade perché i cattolici ignorano gran parte delle nostre regole e sono convinti che non ci sono differenze sostanziali tra cattolicesimo e ortodossia. Qualche volta ci si sente anche in debito verso queste persone che mettono a disposizione tempo e aiuti materiali a sostegno degli immigrati.
Al momento attuale, però, anche se i rapporti tra le nostre chiese sono migliorati, tuttavia essi non sono ancora tornati all’ortodossia e quindi con loro non c’è comunione sacramentale. Questo significa che quando un ortodosso riceve un sacramento da un prete cattolico, viene automaticamente condotto fuori dalla Chiesa Ortodossa. Per un ortodosso non c’è pericolo più grave di questo. Anche solo accettare l’idea che cattolicesimo e ortodossia, oppure protestantesimo e ortodossia siano la stessa cosa, significa rinnegare la fede ortodossa: anche questo è un pericolo per l’anima.
Per mettersi al riparo da questo pericolo bisogna ricordarsi che:
  1. Nessun ortodosso può ricevere la comunione nella chiesa cattolica o comunque da sacerdoti cattolici.
    1. Nessun ortodosso può confessarsi o ricevere una qualsiasi benedizione da un sacerdote cattolico.
    2. Il matrimonio con un cattolico è consentito come eccezione: deve essere celebrato nella Chiesa Ortodossa e i coniugi devono promettere per iscritto che i figli che nasceranno dovranno essere battezzati ed educati nella Chiesa Ortodossa.
    3. Quando un ortodosso si ammala deve ricevere l’olio santo solo da sacerdoti ortodossi.
    4. Quando muore un ortodosso il funerale deve essere fatto da un prete ortodosso, possibilmente in una chiesa ortodossa.
    5. Le case in cui abitiamo non possono esser benedette da sacerdoti cattolici.
    6. Meglio evitare tutte le funzioni pubbliche dei non ortodossi (messe, rosari, incontri di preghiera di vario genere), a meno che non si tratti di matrimoni, funerali e altre ricorrenze di amici o parenti.
    7. Se i nostri figli frequentano la scuola in Italia non devono seguire l’insegnamento di religione.
    8. Non è bene che i nostri figli imparino il catechismo cattolico.
    9. Non è possibile fare da testimone alle nozze dei cattolici, né da padrino ai loro battesimi, comunioni o cresime, anche se i loro sacerdoti stessi lo ammettono.
Nel caso in cui qualcuno male informato ha commesso uno degli sbagli sopra elencati, deve sapere che è ancora in tempo per riparare, se contatta al più presto un sacerdote ortodosso per confessarsi.
E’ necessario fare molta attenzione agli uniati o greco-cattolici. Essi sono sacerdoti che appartengono totalmente al Vaticano anche se celebrano la nostra liturgia. Spesso sono nati nei nostri paesi, parlano la nostra lingua, conoscono le nostre tradizioni e sono disposti a giurare sui Vangeli che sono veramente ortodossi: in pratica, però, sono veri e propri sacerdoti cattolici travestiti da sacerdoti ortodossi; li riconoscete dall’insegnamento: se li sentite predicare che non ci sono differenze con la chiesa cattolica, allora avete a che fare con uno di loro: in questo caso vale tutto quello che abbiamo scritto sopra a proposito dei sacramenti cattolici. Non importa se celebrano come noi, nella nostra lingua e nel nostro rito: perché la liturgia sia ortodossa il sacerdote che celebra deve appartenere effettivamente alla Chiesa ortodossa, non a un corpo estraneo che la imita.
Purtroppo potete incontrare anche qualche sacerdote ortodosso che condivide queste convinzioni o che sostiene addirittura che tra non molto ci sarà la riunificazione delle chiese: queste persone vanno evitate perché non solo rischiano la loro anima, ma possono compromettere anche la vostra.
Ogni tanto vengono organizzati incontri fra cristiani cattolici, ortodossi e protestanti. Il fatto che spesso sono presenti anche sacerdoti della nostra Chiesa, non significa che l’unione è già fatta, ma soltanto che si studia e si riflette sul vero insegnamento di Cristo e si confrontano le idee e le posizioni. I sacri canoni ortodossi inoltre vietano ai sacerdoti della nostra chiesa di parteciparvi indossando i paramenti sacerdotali o anche solo una parte di essi come l’epitrachilion. Quei chierici che trasgrediscono queste prescrizioni commettono un peccato assai grave, perché i paramenti liturgici ortodossi devono essere indossati soltanto per le liturgie ortodosse.
Che cosa fare in Italia per non smarrire la retta via? Cercate la Chiesa Ortodossa più vicina, non importa se appartiene ad un altro patriarcato. L’idea secondo cui la Chiesa e la nazionalità devono coincidere è un eresia condannata due secoli fa. Dovunque c’è una Chiesa  Ortodossa siete a casa vostra perché la Chiesa è la vera patria dei cristiani ortodossi. Procuratevi almeno il Nuovo Testamento e qualche libro di preghiere della nostra Chiesa  (Salterio, Libro delle Ore). Se la Chiesa Ortodossa è troppo lontana, cercate di raggiungerla almeno una volta al mese. Le altre domeniche, nella stessa ora in cui si celebra la Divina Liturgia pregate a casa davanti alle icone leggendo i libri di preghiera ortodossi e il Nuovo Testamento.
Tutti sappiamo che è faticoso vivere in un paese non ortodosso, ma dobbiamo ricordarci che la fatica che facciamo per non perdere la nostra strada in queste condizioni, ha molto valore davanti a Dio; Egli infatti ha detto:
Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa è la via che conduce alla perdizione e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano. Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci (Matteo 7, 13-15).

sabato 20 aprile 2013

CELEBRE DISCORSO DEL VESCOVO MONSIGNOR STROSSMAYER DURANTE IL CONCILIO VATICANO I DEL 1870 CONTRO LA SUPREMA PRETESA DEL PAPA


Venerabili Padri e Fratelli.

Non è che tremando, ma con la coscienza libera e tranquilla davanti a Dio che vive e mi vede, che prendo la parola in mezzo di voi, in questa augusta assemblea.
Da che seggo qui con voi, ho con attenzione seguiti i vostri discorsi che si son fatti in quest'aula, sperando con vivo desiderio che un raggio di luce, scendendo dall'alto, illuminasse gli occhi del mio intendimento, e mi permettesse votare i canoni di questo santo concilio ecumenico, con perfetta cognizione di causa.
Penetrato della parte di responsabilità, di cui Dio mi chiederà conto, mi sono dato a studiare con la più seria attenzione gli scritti dell'antico e Nuovo Testamento, ed ho domandato a questi venerabili monumenti della verità, di farmi conoscere se il santo Pontefice che ci presiede è veramente il successore di S. Pietro, Vicario di G. C. e dottore infallibile della Chiesa.
Per risolvere questa grave questione, ho dovuto far tavola rasa dello stato attuale delle cose, e trasportarmi con la mente, con in mano la fiaccola evangelica, nel tempo in cui non si conosceva né ultramontanismo né gallicismo, e in cui la chiesa aveva per dottori san Paolo, san Pietro, san Giacomo, san Giovanni, dottori ai quali non potremmo negare la divina autorità, senza mettere in dubbio quello che c'insegna la SANTA BIBBIA, che è qui davanti a me, e che il Concilio di Trento ha proclamata regola della fede e dei costumi.
Ho dunque aperte queste sacre pagine ... Ebbene! ardirò dirlo? io nulla vi ho trovato che legittimi né da vicino né da lontano l'opinione degli oltramontani. Di più, con mia gran meraviglia, non si fa questione, nei giorni apostolici, né di un papa, successore di san Pietro e vicario di G. Cristo, come di Maometto, che ancora non esisteva.
Voi, Monsignor Manning, direte che io bestemmio; voi Monsignor Pie, che son fuori di senno; no, io non bestemmio, non son fuori di senno, Monsignori; ora, a meno che non abbia letto tutto intero il Nuovo Testamento, dichiaro davanti a Dio, la mano alzata verso questo gran crocifisso, che non vi ho trovata traccia alcuna del papato, come esiste attualmente.
Non mi recusate, venerabili fratelli, la vostra attenzione, e con i vostri mormorii e interruzioni non giustificate coloro che dicono, come il padre Giacinto, che questo Concilio non è libero, e che i nostri voti ci sono stati in precedenza imposti. Dopo ciò, questa augusta assemblea, sulla quale son rivolti gli occhi del mondo intero, cadrebbe nel più vergognoso disprezzo. Se vogliamo farla grande, siamo liberi.
Ringrazio S. E. Mons. Dupanloup del suo segno d'approvazione che fa con la testa; ciò mi dà coraggio e continuo.
Leggendo dunque con quella attenzione, di cui il Signore mi ha fatto capace, i sacri libri, non vi ho trovato un sol capitolo, un sol versetto, nel quale G. Cristo commetta a S. Pietro di ammaestrare gli apostoli, suoi compagni d'opera.
Se Simone, figlio di Giona, fosse stato quello che noi crediamo esser oggi S. S. Pio IX, fa meraviglia come non abbia detto loro: Quando sarò salito presso mio Padre, voi tutti obbedirete a Simon Pietro, come obbedite a me; io lo stabilisco mio vicario sulla terra.
Nè solamente Cristo su questo punto, ma ancora pensa sì poco a dare un capo alla Chiesa, che quando promette dei troni a' suoi apostoli, per giudicare le dodici tribù di Israele, (Matt. XIX 28) glie ne promette dodici, uno per ciascuno, senza dire che fra questi troni, ve ne sarà uno più alto degli altri, che spetterà a Pietro. Certamente, se avesse voluto che fosse così, lo avrebbe detto: che cosa concludere dal suo silenzio? La logica lo dice: che Cristo non ha voluto fare di S. Pietro il capo del collegio apostolico.
Quando Cristo manda gli apostoli alla conquista del mondo, a tutti ugualmente dà il potere di sciogliere e legare: a tutti fa la promessa dello Spirito Santo. Permettetemi che lo ripeta: se avesse voluto costituire Pietro suo vicario, gli avrebbe dato il comando in capo della sua milizia spirituale.
Cristo, lo dice la S. Scrittura, proibisce a Pietro ed ai suoi colleghi di regnare, signoreggiare e aver potestà sui fedeli, siccome usano i re delle genti (Luca XXII 25). Se S. Pietro fosse stato eletto papa, Gesù non avrebbe parlato così, imperocchè, secondo le nostre tradizioni, il papato tiene nelle sue mani due spade, simbolo del potere spirituale e temporale.
Un fatto mi ha vivamente meravigliato: constatandolo, diceva a me stesso: Se Pietro fosse stato eletto papa, i suoi colleghi si sarebbero permessi di mandarlo con S. Giovanni in Samaria, per annunziarvi l'Evangelo del figlio di Dio? (Atti VIII, 14).
Che pensereste, venerabili fratelli, se in questo momento noi ci permettessimo deputare S. S. Pio IX e S. E. Monsignor Plantier a recarsi dal patriarca di Costantinopoli, per impegnarlo a far cessare lo scisma orientale?
Ma ecco un altro fatto più importante. Un concilio ecumenico è riunito a Gerusalemme, per decidere sulle questioni che dividono i fedeli. Chi avrebbe convocato quel concilio, se S. Pietro fosse stato papa? S. Pietro: chi lo avrebbe presieduto? S. Pietro o i suoi legati; chi ne avrebbe formulati e promulgati i canoni? S. Pietro: Ebbene! Nulla di tutto questo avviene. L'apostolo assiste al concilio, come tutti gli altri suoi colleghi: non è lui che ne prende le conclusioni, ma S. Giacomo, e quando se ne promulgano i decreti, è a nome degli apostoli, degli anziani e dei fratelli. (Atti XV.)
È così che facciamo noi nella nostra chiesa? Più che mi addentro, o venerabili fratelli, nel mio esame, più mi convinco che nella Santa Scrittura non apparisce primato nel figliuolo di Giona: ora, mentre che noi insegniamo che la Chiesa è fabbricata sopra S. Pietro, S. Paolo, la cui autorità non può esser messa in dubbio, ci dice nella sua lettera agli Efesi (II, 20) essere edificata sopra il fondamento degli apostoli e de' profeti, essendo G. C. stesso la pietra del capo del cantone.
E il medesimo apostolo crede così poco alla supremazia di san Pietro, che biasima apertamente quelli che dicono: Noi siamo di Paolo, noi siamo d'Apollo, (Corinti I, 12) come quelli che direbbero: noi siamo di Pietro. Se dunque quest'ultimo apostolo fosse stato vicario di G. Cristo, S. Paolo si sarebbe guardato bene di censurare così violentemente quelli che si attenevano al suo collega.
Lo stesso apostolo Paolo, enumerando le cariche della Chiesa, rammenta gli Apostoli, i Profeti, gli Evangelisti, i Dottori, i Pastori.
È egli credibile, venerabili fratelli, che S. Paolo, il gran dottore delle genti, avesse dimenticata la prima delle cariche, il papato, se il papato fosse stato d'istituzione divina? Questa dimenticanza non mi è sembrata possibile, come sarebbe quella di uno storico di questo concilio, che non dicesse una parola di S. Santità Pio Nono. (Alcune voci: Silenzio, eretico, silenzio!)
Moderatevi, venerabili fratelli, non ho ancora detto tutto; impedendomi di continuare, mostrereste al mondo di aver torto e di aver chiusa la bocca al più piccolo membro di quest'assemblea. Continuo.
L'apostolo Paolo, in alcuna delle sue lettere dirette alle varie chiese, non fa menzione del primato di Pietro. Se questo primato fosse esistito, se in una parola, la Chiesa avesse avuto nel suo seno un capo supremo, infallibile nello insegnare il gran dottore delle genti avrebb'egli dimenticato di tenerne parola? Che dico io? Avrebbe scritta una lunga lettera su questo importante e capitale subietto. Allora quando, com'egli ha fatto, si erige l'edificio della dogmatica cristiana, può dimenticarsi il fondamento, la chiave della volta? Ora, a meno che non si ritenga per eretica la chiesa apostolica, ciò che noi non vorremo né oseremo dire, siamo costretti a convenire che la Chiesa non è mai stata nè più bella, nè più pura, nè più santa, come nei giorni, nei quali non aveva il papa. (Voci: Non è vero. Non è vero.)
Monsignore de Laval non dica no, poiché se alcuno di voi, venerabili fratelli, ardisse pensare che la Chiesa che ha oggi un papa per capo, è più ferma nella fede, più pura nei costumi della Chiesa Apostolica, lo dica apertamente in faccia all'Universo, imperocchè questo è il centro, da cui le nostre parole volano da un polo all'altro. Proseguo.
Non negli scritti di S. Paolo, nè in quelli di S. Giovanni, o di S. Giacomo, ho trovato traccia o germe del potere papale. S. Luca, lo storico dei lavori missionari degli apostoli, tace su questo punto capitale.

Il silenzio di questi santi uomini, i cui scritti fan parte del canone delle Scritture divinamente ispirate, mi è parso aggravante, e impossibile, se Pietro fosse stato papa, come non sarebbe giustificabile quello di Thiers se omettesse nella storia di Napoleone Bonaparte il titolo d’imperatore.
Sento là, davanti a me, un membro dell'assemblea che dice, mostrandomi a dito: È un vescovo scismatico, introdottosi fra noi sotto falso nome.
No, no, venerabili fratelli, io non sono entrato in questa augusta assemblea, come un ladro per la finestra; ma sibbene dalla porta come voi: il mio titolo di vescovo me ne dava il diritto, come la mi coscienza di cristiano m'impone parlare e dire quello che credo esser vero.
Ciò che mi ha maggiormente stupito, e più di quello che potrei dimostrare, è il silenzio di S. Pietro. Se l'apostolo fosse stato quello che noi proclamiamo essere, cioè il vicario di G. Cristo sulla terra, egli avrebbe dovuto saperlo: se lo ha saputo, come mai neppure una volta, una volta sola non ha fatto da papa? Avrebbe potuto farlo il giorno della Pentecoste, quando pronunziò il suo primo discorso, e non lo fece: al concilio di Gerusalemme, e non lo fece: ad Antiochia, e non lo fece: nelle due lettere dirette alla chiesa, e non lo fece: immaginate voi un tal papa, venerabili fratelli, se S. Pietro fosse stato papa?
Se dunque vuolsi sostenere che egli è stato papa, ne nasce la naturale conseguenza che bisogna del pari sostenere che non ha saputo di esserlo; ora io domando a chiunque ha testa che pensa e mente per riflettere, sono possibili queste due supposizioni?
Riassumendo, dico: Mentre vivevano gli apostoli, la Chiesa non ha mai pensato che potesse esservi un papa: per sostenere il contrario, bisognerebbe dare alle fiamme gli scritti sacri, o ignorarli affatto.
Sento da tutte le parti dire: ma S. Pietro non è stato a Roma? Non vi è stato crocifisso col capo all'ingiù? La sedia sulla quale insegnava e l'altare su cui diceva la messa, non sono in questa città eterna?
La dimora di S. Pietro a Roma, venerabili fratelli, non ha altra prova che la tradizione: ma se egli fosse stato vescovo di Roma, che forse dal suo vescovato in questa città, potrà trarsi e concludere per la sua supremazia? Un dotto di primo ordine, lo Scaligero, non ha esitato dire, che il vescovato e la dimora di S. Pietro a Roma debbono essere posti fra le ridicole leggende. (Grida ripetute: Toglietegli la parola, toglietegli la parola! Discenda dall'ambone!)

Venerabili fratelli, son pronto a tacermi, ma non è egli più conveniente in un assemblea, quale è la nostra, esaminar tutto, siccome lo comanda l'apostolo e credere ciò ch'è buono? Ma, venerabili, noi abbiamo un dittatore, davanti al quale tutti dobbiamo prostrarci e tacere, anche Sua Santità Pio IX e abbassare la testa. Questo dittatore è la storia.
Essa non è come la leggenda, di cui si è fatto quello, che il vasellaio fa dell'argilla: è il diamante che incide sul vetro parole incancellabili. Finora non mi sono appoggiato che su lei, e se non ho trovato traccia del papato nei giorni apostolici, mia non è la colpa, ma sua. Volete mettermi in stato di accusa per delitto di falso? Padroni di farlo.

Mi giungono dalla destra queste parole: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa. Matt. XVI.
Fra poco, venerabili fratelli, risponderò a questo obietto: ma prima di farlo, debbo presentarvi il resultamento delle mie ricerche storiche.
Non trovando traccia del papato nei giorni apostolici, ho detto fra me: Troverai quello che cerchi negli annali della Chiesa. Ebbene! lo dirò francamente: ho cercato un papa nei primi quattro secoli e non l'ho trovato.
Nessuno di voi, spero, vorrà contestare la grande autorità del santo vescovo d'Ippona, il grande e beato s. Agostino. Questo pio dottore, onore e gloria della Chiesa cattolica, era segretario nel concilio Melivetano. Nei decreti di quella venerabile assemblea si leggono queste significanti parole: Chiunque vorrà appellare AL DI LA' DEL MARE, non sia ricevuto da alcuno, in Affrica, alla comunione.
I vescovi d'Affrica riconoscevano sì poco la supremazia del vescovo di Roma, che colpivano di scomunica coloro che a lui ricorressero in appello.
Questi medesimi vescovi, nel sesto concilio di Cartagine, tenuto sotto Aurelio, vescovo di quella città scrissero a Celestino vescovo di Roma, avvertendolo che non ricevesse appelli dei vescovi, preti e chierici d'Affrica: che non mandasse più legati, nè commissari, e che non introducesse l'orgoglio umano nella Chiesa.
Che il patriarca di Roma abbia pensato fino dai primi tempi a trarre a sè tutta l'autorità, è un fatto evidente: ma è fatto del pari indubitato che egli non aveva la supremazia, che gli oltramontani gli attribuiscono: se l'avesse avuta, i vescovi d'Affrica, S. Agostino il primo, avrebbero ardito proibire di appellare dai loro decreti al suo tribunale supremo?
Confesso senza difficoltà che il partriarcato di Roma teneva il primo posto: una legge di Giustiniano dice "Ordiniamo, dietro la definizione dei quattro concilii, che il santissimo papa della vecchia Roma sia il primo dei vescovi, e che l'altissimo arcivescovo di Costantinopoli, che è la nuova Roma, sia il secondo."
Inchinati dunque alla supremazia del papa, mi direte.
Non siate si corrivi a questa conclusione, venerabili fratelli, imperciocchè la legge di Giustiniano ha scritto in fronte "dell'ordine delle sedute dei pariarchi" Altra cosa dunque è la precedenza, altra il potere di giurisdizione: così, per esempio, supponiamo che in Firenze fosse una riunione di tutti i vescovi del regno: la precedenza sarebbe data al primate di Firenze, come presso gli orientali è accordata al Patriarca di Costantinopoli, e in Inghilterra all'arcivescovo di Cantorbery. Ma nè il primo, nè il secondo, nè il terzo potrebbero dedurre dal posto che sarebbe loro assegnato, una giurisdizione sui loro colleghi.
La importanza dei vescovi di Roma proveniva, non da un potere divino, ma dalla considerazione della città, in cui avevano la loro sede. Monsignor Darboy non è superiore in dignità all'arcivescovo di Avignone: non per tanto, Parigi gli dà una considerazione che non avrebbe, se in vece di avere il suo palazzo sulle rive della Senna, lo avesse su quelle del Rodano. Quel che è vero nell'ordine religioso, lo è pure nel civile e politico: il prefetto di Firenze non è più prefetto di quello di Pisa: ma civilmente e politicamente ha una maggiore importanza.
Ho detto che il patriarca di Roma aspirò fino dai primi secoli al governo universale della chiesa. Sventuratamente vi giunse in appresso: ma certamente non lo aveva allora poichè, non ostante le sue pretese, l'imperatore Teodosio II. fece una legge con la quale stabilì che il patriarca di Costantinopoli aveva la medesima autorità , che quello di Roma. Leg. Cod. de Scr. ecc.
I padri del concilio di Calcedonia posero il vescovo della antica e nuova Roma al medesimo ordine in tutte le cose, anche nelle ecclesiastiche. Can. 28.
Il sesto concilio di Cartagine proibì ai vescovi tutti di prendere il titolo di principe dei vescovi, o di vescovo sovrano.
Quanto al titolo di vescovo universale, che i papi presero più tardi, S. Gregorio I, credendo che i suoi successori non se ne sarebbero mai fregiati, scrisse queste notevoli parole: "Nessuno de’ miei predecessori ha consentito di prendere questo nome profano, imperocchè quando un patriarca si dà il nome di universale, il titolo di patriarca ne soffre di discredito. Lungi dunque dal cristiano il desiderio di darsi un titolo che lo discredita fra i suoi fratelli!"
Le parole di S. Gregorio sono dirette al suo collega di Costantinopoli, che pretendeva al primato nella chiesa. Il papa Pelagio II chiama Giovanni, vescovo di Costantinopoli, che aspirava al pontificato massimo, empio, e profano "Non vi curate, egli dice del titolo di universale, che Giovanni usurpò illegalmente: che nessuno dei patriarchi prenda questo nome profano: imperocchè, quale sventura non dovremo aspettarci, se fra i preti sorgono tali elementi? Si avvererebbe quello che è stato predetto. – È il re dei figli dell’orgoglio. (Pelagio II. lett. 13)"
Queste autorità, e ne avrei cento altre di ugual valore, non provano esse, con chiarezza pari allo splendore del sole a mezzogiorno, che i primi vescovi di Roma non sono stati che molto tardi riconosciuti per vescovi universali e capi della chiesa?

E d’altra parte, chi non sa come dall’anno 225, in cui si tenne il primo concilio di Nicea, fino al 580 in cui si tenne il secondo ecumenico di Costantinopoli, sopra 1109 vescovi che assisterono ai sei primi concilii generali, non vi furono presenti che 19 vescovi occidentali?
Chi non sa che i concili erano convocati dagli imperatori, senza prevenire, e qualche volta contro la volontà del vescovo di Roma? Che Osio vescovo di Cordova, presiedè il primo concilio di Nicea e ne redigè i canoni? Lo stesso Osio presiedè di poi il concilio di Sardica, escludendone i legati di Giulio vescovo di Roma: non insisto di più, venerabili fratelli, e vengo a parlare del grande argomento, che ponete innanzi, per istabilire il primato del vescovo di Roma.
Per la pietra, sulla quale la Santa Chiesa è fabbricata, voi intendete Pietro. Se fosse vero, la disputa sarebbe terminata: ma i nostri antenati, e certamente sapevano qualche cosa, non la pensavano come noi.
S. Cirillo, nel suo quarto libro sulla Trinità, dice "Io credo che per la pietra, bisogna intendere la incrollabile fede dell’apostolo". S. Ilario, vescovo di Poitiers, nel suo secondo libro sulla Trinità dice "La pietra (petra), è la beata ed unica pietra della fede confessata per bocca di S. Pietro: ed è, dice nel sesto libro della Trinità, su questa pietra della confessione, che la chiesa è edificata. "Dio, dice S. Girolamo, nel 6° libro di S. Matteo, ha fondato la sua chiesa su questa pietra ed è su questa pietra che l’apostolo Pietro è stato nominato." Dopo lui, S. Grisostomo dice, nella sua 53 omelia sopra S. Matteo". Su questa pietra edificherò la mia chiesa, cioè sulla fede della confessione: or qual era la confessione dell’apostolo? Eccola "Tu sei il Cristo, il figlio di Dio vivente."
Ambrogio, il santo arcivescovo di Milano, nel secondo capitolo agli Efesi, S. Basilio di Seleucia, ed i padri del Concilio di Calcedonia insegnano esattamente la medesima cosa.
Di tutti i dottori della antichità cristiana, S. Agostino è quello, che occupa uno dei primi posti nella Chiesa, per la scienza e santità. Ascoltate dunque ciò ch’egli scrive nel suo secondo trattato sulla prima lettera di S. Giovanni. "Che cosa vogliono dire le parole. "Io edificherò la mia chiesa su questa pietra? Su questa fede, su quello che è detto. Tu sei il Cristo, il figlio di Dio vivente."
Nel suo 124° trattato sopra S. Giovanni, troviamo questa significantissima frase "Sopra questa pietra che tu hai confessato, io edificherò la mia chiesa, imperocchè Cristo era la pietra."
Il gran vescovo credeva tanto poco che la chiesa fosse fabbricata su S. Pietro, che diceva a’ suoi fedeli nel suo 13 sermone. "Tu sei Pietro e su questa pietra che tu hai confessato, su questa pietra, che tu hai conosciuto dicendo – Tu sei Cristo, il figlio di Dio vivente – io edificherò la mia chiesa sopra me stesso, che sono il figlio di Dio vivente: io la edificherò su ME, E NON ME SU TE."
Quello che S. Agostino pensava sopra questo celebre passo, era la opinione di tutta la cristianità del suo tempo. Dunque riassumendo, stabilisco:

1° Che Gesù ha dato agli apostoli il medesimo potere che a san Pietro;

2° Che gli apostoli non hanno mai riconosciuto in S. Pietro il vicario di Gesù Cristo e il dottore infallibile della chiesa;

3° Che S. Pietro non ha mai pensato di essere papa, e non ha mai fatto da papa;

4° Che i concilii dei quattro primi secoli, mentre riconoscevano l’alto posto, che il vescovo di Roma occupava nella Chiesa, appunto per cagione di Roma, non gli hanno accordato che una preminenza d’onore, mai un potere, nè una giurisdizione;

5° Che i SS. Padri nel famoso passo "Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia chiesa" non hanno mai inteso che la Chiesa fosse edificata su Pietro (super Petrum), ma sulla pietra (super petram), cioè sulla confessione della fede dell’apostolo.

Concluderò vittoriosamente con la storia, con la ragione, con la logica, col buon senso e con la coscienza cristiana, che Gesù Cristo non ha conferito alcuna supremazia a S. Pietro, e che i vescovi di Roma non son divenuti sovrani della Chiesa, se non che confiscando ad uno ad uno tutti i diritti dell’episcopato. (voci: Taccia lo sfacciato protestante, taccia!)

Io sono uno sfacciato protestante!… Nò, mille volte no!
La storia non è nè cattolica, nè anglicana, nè calvinista, nè luterana, nè armena, nè greca scismatica, nè oltramontana: ella è quello che è, cioè qualche cosa di più forte di tutte le confessioni di fede dei canoni dei concilii ecumenici.
Scrivete in falso contro di lei, se lo ardite: ma voi non potete distruggerla, come un mattone tolto dal Colosseo non lo farebbe cadere. Se ho detto qualche cosa che la storia dimostri in contrario, mi si faccia conoscere con la storia, e senza esitare un momento, farò onorevole ammenda: ma siate pazienti e vedrete che non ho detto tutto ciò che io voleva e doveva: quando anche il rogo mi attendesse sulla piazza di S. Pietro, io non debbo tacere e mi è obbligo continuare.
Monsignor Dupanloup, nelle sue celebri Osservazioni su questo concilio del Vaticano, ha detto e con ragione, che se noi dichiariamo Pio IX infallibile, siamo per necessaria e naturale logica obbligati a ritenere infallibili tutti i suoi antecessori. Or bene! Venerabili fratelli, ecco la storia che alza la sua voce autorevole, per assicurarvi che alcuni papi hanno errato: avete un bel protestare, un negare, io vi dirò con quella:

Papa Vittore (192) approvò il montanismo, poi lo condannò.

Marcellino(296, 303) fu idolatra, entrò nel tempio di Vesta e offrì incensi alla dea. Voi direte fu un atto di debolezza: ma io risponderò: un Vicario di Gesù Cristo muore ma non diviene apostata.

Liberio (358) consentì alla condanna di Anatasio e fece professione di Arianismo, per esser richiamato dall’esilio e reintegrato nel suo seggio.

Onorio (625) aderì al monotelismo: il padre Gratry lo ha alla evidenza dimostrato.

Gregorio I (578-90) chiama anticristo colui, che prende il nome di Vescovo universale, e al contrario Bonifazio III. (607-8) si fa conferire questo titolo dal parricida imperatore Foca.

Pasquale II. (1088-1099) ed Eugenio III. (1145 - 1153) autorizzano il duello: Giulio II. (1509) e Pio IV. (1560) lo proibiscono.

Eugenio IV. (1431-39) approva il Concilio di Basilea e la restituzione del calice alle chiese di Boemia: Pio II. (1658) revoca la concessione.

Adriano II. (867-872) dichiara valido il matrimonio civile, Pio VII. (1800-23) lo condanna. Sisto V. (1585-1590) pubblica un edizione della Bibbia e ne raccomanda la lettura con una Bolla: Pio VII ne condanna la lettura.

Clemente XIV (1700-21) abolisce l’Ordine dei Gesuiti, permesso da Paolo III: Pio VII. lo ristabilisce.

Ma perché cercare delle prove così remote? Il nostro santo padre Pio IX, qui presente, nella sua bolla che dà le norme per il concilio, nel caso in cui egli morisse, mentre è aperto, non ha revocato tutto quello che in passato gli sarebbe contrario  anche quando provenisse da decisioni de’ suoi predecessori? E certamente se Pio IX ha parlato ex cattedra, non è quando dal fondo del suo sepolcro impone le sue volontà ai sovrani della Chiesa.

Non terminerei più, Venerabili fratelli, se ponessi davanti ai vostri occhi le contraddizioni dei papi nei loro insegnamenti. Se voi dunque proclamate la infallibilità del papa attuale, bisognerà forzatamente, o che voi proviate ciò che è impossibile, che i papi non si sono contraddetti  oppure che dichiariate che lo Spirito Santo vi ha rivelato che la infallibilità papale non data che dal 1870. Avrete voi tanto ardimento?
I popoli passeranno indifferenti forse accanto a questioni teologiche, delle quali non intendono e non sentono la importanza: ma per quanto siano indifferenti ai principi, non lo sono punto dei fatti. Ora non v’illudete! se decretate il dogma della infallibilità papale, i protestanti, nostri avversari, monteranno sulla breccia tanto più arditi, in quanto che avranno contro di noi e in loro favore, la storia, mentre noi non avremo contro loro, che le nostre negative. Che cosa diremo loro quando faranno marciare davanti al pubblico i vescovi di Roma da Luca a sua santità Pio Nono?
Ah! se tutti fossero stati come Pio IX, noi trionferemmo su tutta la linea; ma ohimè! non è così..- Grida: silenzio, silenzio! basta, basta!
Non gridate, Monsignori! Temere la storia è darsi per vinti: e d'altronde  se faceste passare sopra di lei le acque del Tevere, non ne cancellereste una pagina. Lasciatemi parlare e sarò breve, per quanto il comporta questo importante subietto.

Il papa Vigilio (538) comprò il papato da Belisario, luogotenente dell’imperatore Giustiniano: è vero che, rompendo la promessa, pagò nulla.

È egli canonico questo mezzo di cingere la tiara? Il secondo Concilio di Calcedonia l’aveva formalmente condannato. In uno dei suoi canoni si legge "che il vescovo, il quale ottiene il vescovato per danari, lo perda e sia degradato".

Il papa Eugenio IV. (1145) imitò Vigilio. San Bernardo, fulgida stella del suo secolo, rimproverò il papa dicendogli: "Potresti indicarmi alcuno in questa gran città di Roma, che ti abbia ricevuto per papa, senza che abbia ricevuto oro od argento?"

Un papa, Venerabili fratelli, che erige banco alle porte del tempio, sarà egli inspirato dallo Spirito Santo? Avrà diritto d’insegnare infallibilmente alla Chiesa?

Conoscete pur troppo la storia di Formoso, perchè io la renda più grave. Stefano XI. fece disseppellire il suo corpo, vestirlo di abiti pontificali, e tagliategli le dita, con le quali dava la benedizione lo fece gettare nel Tevere, e lo dichiarò spergiuro e illegittimo. Egli poi fu dal popolo imprigionato, avvelenato e strangolato: ma vedete il giusto rimetter delle cose: Romano successore di Stefano e dopo lui, Giovanni X, riabilitarono la memoria di Formoso.
Ma direte, queste son favole, non storia. Favole! andate Monsignori, andate alla biblioteca vaticana, e leggete il Platina, lo storico del papato e gli annali del Baronio (anno 897).
Vi sono dei fatti che vorremmo cancellare, per l’onore della santa Sede; ma quando si tratta di definire un domma, che può provocare un gran scisma in mezzo di noi, l’amore che portiamo alla nostra venerabile madre Chiesa cattolica, apostolica e romana, c’impone silenzio – Aggiungo.
Il dotto Cardinale Baronio, parlando della corte papale, dice (prestate attenzione Venerabili fratelli, a queste parole) "Qual era in quel tempo la faccia della Chiesa romana, e come obbrobriosa, non dominando a Roma che onnipossenti cortigiane? Esse erano quelle che davano, permutavano, toglievano vescovati, e orribil cosa a credersi, i loro amanti, i falsi papi, venivan posti sul trono di san Pietro. (Baronio anno 912)."
Quelli erano falsi papi, non veri, si replica: e sia pure: ma in tal caso, Venerabili fratelli, se per cinquanta anni la sede di Roma non è stata occupata che da antipapi, come troverete voi il filo della successione pontificale?
La chiesa ha ella potuto fare a meno per un secolo e mezzo del suo capo, e trovarsi acefala? Vedete! La maggior parte di questi antipapi figurano nell’albero genealogico del papato, e certamente bisognava bene che fossero tali, quali Baronio li dipinge, perchè Genebrardo, il grande adulatore dei papi, abbia osato dire nelle sue cronache (anno 901). "Questo secolo è sventurato, imperocchè per 150 anni circa, i papi sono del tutto decaduti dalle virtù dei loro antecessori, essendo piuttosto apostati, che apostolici."
Capisco come l’illustre Baronio abbia dovuto, narrando questi fatti dei vescovi di Roma, sentirsi arrossire il volto. Parlando di Giovanni XI. (931), bastardo di papa Sergio e di Marozia, quegli scriveva queste parole nei suoi annali. "La santa Chiesa, cioè la romana, ha dovuto vilmente esser calpestata da un tal mostro". Giovanni XII (946) eletto papa a 18 anni per influenza di cortigiane, non era punto meglio del suo antecessore.
Deploro, Venerabili fratelli, di agitare tanto laidume: mi taccio di Alessandro VI., padre e amante di Lucrezia: trasvolo su Giovanni XXII. (1316), che negava l’immortalità dell’anima e fu deposto dal santo concilio ecumenico di Costanza.
Alcuni asseriscono che questo concilio non fosse che un concilio particolare. E sia pure: ma se gli ricusate ogni autorità, per essere logicamente conseguenti, bisogna tenere per illegale la nomina di Martino V. (1417). Che cosa avverrà allora della successione papale? Potrete voi trovarne il bandolo?
Non parlo degli scismi che hanno disonorato la chiesa. In codesti sventurati giorni, la sede di Roma era occupata da due, e qualche volta da tre competitori: quale di questi era il vero papa?
Riassumendomi dico, se voi decretate la infallibilità dell’attuale vescovo di Roma, vi abbisognerà stabilire la infallibilità di tutti i precedenti, senza escluderne alcuno: ma lo potrete voi, quando la storia è là, che stabilisce con chiarezza eguale a quella del sole, che i papi hanno errato nei loro insegnamenti? Lo potrete voi, sostenendo che dei papi avari, incestuosi, omicidi, simoniaci sono stati vicari di Gesù Cristo? Oh! Venerabili fratelli, sostenere tale enormità, sarebbe tradire Cristo peggio di Giuda: sarebbe gettargli del fango nel volto. (Grida: Giù dal pulpito! zitto, silenzio l’eretico!)
Venerabili fratelli, voi gridate: ma non sarebbe cosa più dignitosa pesare le mie ragioni e le mie prove sulla bilancia del santuario? Credetemi, la storia non si rifà: ella è là e lo sarà in eterno per protestare energicamente contro il domma della infallibilità papale. Voi lo ploclamerete all’unanimità, ma meno un voto, il mio!
I veri fedeli, Monsignori, hanno gli occhi su noi, attendono da noi il rimedio agl’innumerevoli mali che disonorano la Chiesa: gl’inganneremo nelle loro speranze? Qual non sarebbe innanzi a Dio la nostra responsabilità, se ci lasciassimo fuggire questa solenne occasione che Dio ci ha data, per render salda la vera fede?
Afferriamola, fratelli; armiamoci di un santo coraggio; facciamo un violento e generoso sforzo; torniamo agl’insegnamenti apostolici: imperocchè, fuori di questi, non abbiamo che errori, tenebre e false tradizioni.
Valghiamoci della nostra ragione e della nostra intelligenza, per avere gli apostoli e profeti a nostri soli maestri infallibili, intorno alla domanda per eccellenza "che mi convien fare per essere salvato?" Ciò deciso, noi avremo posta la base della nostra dommatica.
Fermi ed immobili sulla roccia stabile e incrollabile della Santa Scrittura, divinamente inspirata, fiduciosi andremo innanzi al secolo, e come l’apostolo Paolo, in presenza dei liberi pensatori, non vorremo saper altro che G. Cristo, e Gesù Cristo crocifisso: lo conquisteremo con la predicazione della follìa della croce, come Paolo conquistò i retori di Grecia e di Roma, e la Chiesa romana avrà il suo glorioso 89. – (Grida clamorose – Abbasso, fuori il protestante, il calvinista, il traditore della chiesa!)

Le vostre grida, Monsignori, non mi spaventano: se il mio dire è caldo, la testa è fredda: io non sono nè di Lutero nè di Calvino, nè di Paolo, nè di Apollo, ma di Cristo. – (Nuove grida – Anatema, Anatema all’apostata!)

Anatema! Monsignori, Anatema! voi sapete bene che non protestate contro di me, ma contro i santi apostoli, sotto la cui protezione vorrei che questo concilio ponesse la Chiesa. Ah! se coperti dei loro sudarii, uscissero dalle loro tombe, vi parlerebbero essi un linguaggio differente dal mio?
Che cosa direste loro, quando coi loro scritti vi dicessero che il papato ha deviato dal Vangelo del figlio di Dio, che essi con tanto coraggio hanno predicato e confermato col loro generoso sangue? Ardireste dir loro: Noi preferiamo ai vostri insegnamenti quelli dei nostri papi, dei nostri Bellarmino, e Ignazio di Loiola? Nò, nò, mille volte nò, a meno che non abbiate chiuse le orecchie per non udire, gli occhi bendati per non vedere, la intelligenza ottusa per non intendere.
Ah! se colui che regna nei cieli vuole aggravare su noi la sua mano, siccome fece su Faraone, non ha bisogno di permettere ai soldati di Garibaldi di scacciarci dalla città eterna, non ha che lasciar fare di Pio IX un Dio, come abbiamo fatto della Beata Vergine una dea.
Fermatevi fermatevi, Venerabili fratelli, sul pendio odioso e ridicolo, su cui vi siete posti. Salvate la Chiesa dal naufragio che la minaccia, domandando alle sole sante scritture la regola di fede, che dobbiamo credere e professare. Ho detto. Dio mi aiuti!

Queste ultime parole furono ricevute con i più plateali segni di disapprovazione. Tutti i padri si alzarono; molti uscirono dalla sala; buon numero di Italiani, Americani, Tedeschi, e un piccol drappello di Francesi ed Inglesi circondarono il coraggioso oratore, gli strinsero fraternamente la mano, e gli mostrarono esser concordi nel suo modo di pensare.

Questo discorso nel secolo XVI avrebbe procurato al coraggioso vescovo la gloria di morire sul rogo: nel secolo attuale, provoca lo sdegno di Pio IX e di tutti coloro che vogliono abusare della ignoranza dei popoli.

Poveri ciechi! "Cadranno nella fossa ch’eglino stessi hanno fatta" Salmo VII 15.
vescovo Georg Joseph ( o Juraj Josip ) Strossmayer
vescovo di Ðakovo (Croazia)

Josip Juraj Strossmayer (Osijek, 4 febbraio 1815 – Đakovo, 8 maggio 1905) è stato un vescovo cattolico croato.
Strossmayer fu eletto vescovo di Ðakovo l'8 novembre 1849 e conservò la stessa cattedra episcopale fino alla morte. Fu un vescovo mecenate e la sua attività di promozione culturale segnò il risveglio della cultura croata nell’Ottocento. Diede vita assieme a Rački e a Jagić ad alcune delle più importanti istituzioni culturali croate: l’Accademia jugoslava (1867) a Zagabria, l’università di Zagabria (1874) e la Galleria delle belle arti (1884). Amico di Mihajlo Obrenović, sotto il suo auspicio vennero rafforzate alcune istituzioni culturali preesistenti. Incentivò la nascita di giornali e di riviste letterarie e scientifiche.
Grazie al suo supporto Dimitr Miladinov pubblicò a Zagabria nel 1861 i "Canti popolari bulgari raccolti dai fratelli Miladinov Dimitr e Konstantin ed editi da Konstantin"; grazie a lui emerse anche la giovane Maria Jurić Zagorka poi scrittrice croata di successo del primo Novecento.
Al Concilio Vaticano I si mantenne su posizioni antiinfallibiliste.